Non legare le biciclette

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“Si prega di non legare le biciclette”, recita il cartello sui muri di una casa tra via Ormea e corso Massimo D’Azeglio. Biciclette che nel quartiere San Salvario trovi legate ovunque a dimostrare l’uso ormai quotidiano e diffuso del mezzo di locomozione a pedali. E’ un dato di fatto, occorre tenerne conto. Per un sana distribuzione delle vie di comunicazione tra pedoni, automobilisti e ciclisti. Anche per evitare guerre tra cowboy e contadini, un classico dei grandi film western.

Buon Bike Pride.

 

Pessimismo scoraggiante

E’ nato il comitato che dice NO al parcheggio pertinenziale di corso Marconi. Un comitato molto trasversale: cittadini, associazioni, militanti di partiti e di non partiti uniti da un NO. Tutti hanno diritto alla loro TAV (o TAC che sia).
Cittadini, associazioni, partiti e non partiti che difficilmente si unirebbero per un SI, nel senso di proposta di una diversa idea di mobilità sul territorio. Ciò che realmente ci serve. Perché non troverebbero mai un accordo, perché hanno idee opposte. Ferocemente opposte.
Questa è la rappresentazione reale del paese, ma anche, allunghiamoci, della regione, della provincia, della città e del quartiere. E aggiungiamo il condominio.
Questo è ciò che mi preoccupa e mi sta facendo scivolare in un triste e scoraggiante pessimismo.

PS: in attesa della ruota panoramica che scombinerà le carte (nel comitato e non solo).

Bicerin kebab

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Kabul kabab a New York

L’oggetto del contendere è il nome, questo Kabul non s’ha da fare, pare dicano alcuni “bravi” cercando il don Abbondio di turno. Peccato che Tofan sia di Kabul e la kebaberia abbia voluto dedicarla alla sua città. Com’è umano e normale e anche un po’ nostalgico. D’altra parte fecero così i napoletani con le pizzerie Bella Napoli o Vesuvio, e non ci risulta che  condomini newyorkesi o parigini abbiano obiettato legando Napoli alla camorra o il Vesuvio alla fine di Pompei. O il ristorante Palermo alla mafia.

E se andate a curiosare nella rete troverete un Kabul kebab a New York, New York non Teheran,  e non crediamo che a nessuno oltreoceano sia venuto in mente di proporre New York kebab. Invece pare che i “bravi” abbiano proposto, per mediare, un bel Torino kebab. Magari gemellato con Bicerin Kabul in Afghanistan.

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Kabul kebab a Torino

Per fortuna di Don Abbondio pare non se ne trovino, e non è certo pensabile che sia l’assessore Ilda Curti a impersonarne il ruolo dal momento che ieri, insieme a molti cittadini, è andata ad assaggiare il kebab di Tofan e ad esprimere una naturale ed ovvia solidarietà.  Speriamo che la festosa e gastronomica invasione di Kabul spinga i nostri “bravi” a una sana marcia indietro.

Restiamo umani.

La notizia

Kabul kebab è in via Saluzzo, angolo corso Vittorio, a Torino. L’amministratore, a nome di alcuni inquilini, non autorizzerebbe il nome Kabul: “il palazzo è signorile e quel nome evoca guerre e tragedie”. 

 

Il disumano

Siamo a Torino nel quartiere multitutto: un po’ figo, un po’ movida e spensieratezza, un po’ trendy, un po’ impegnato socialmente, con tante associazioni, con tante religioni e tanta umanità proveniente da tutto il mondo. E in questo mare di umanità non manca la disumanità, le solite povertà e i personaggi che sulla disumanità fanno affari arrotolandosi il pelo sullo stomaco. C’è una casa a San Salvario, una casa bella grande con tre scale e una sessantina di luoghi definiti con generosità appartamenti. Dentro l’umanità varia, un po’ è nostrana e tanta è di tutto il mondo. Difficile contarla quest’umanità che è sotto scacco di un disumano padrone di tutta la casa e della sua condizione di vita. La casa cade a pezzi, infiltrazioni d’acqua, topi e scarafaggi in quantità, il gas è in bombole, niente a norma di legge.  Tutto è lasciato andare.  A volte un piccolo incendio in un “appartamento” vuoto, qualche intossicato, un articolo di giornale e poi nulla. E’ luogo di spaccio e di ritrovo di chi si va a fare, tanto è sempre aperto e l’entrata è libera. In quel luogo abitato anche da molti bambini. E’ una storia già vista solo pochissimi anni fa, a pochi isolati di distanza. Sempre la stessa umanità, sempre lo stesso disumano. E il disumano se ne fotte. Noi no però, noi non possiamo fottercene. I disumani non li dobbiamo più tollerare.

Come in un romanzo di Dickens, mandiamogli i fantasmi del passato del presente e del futuro. Anzi no, mandiamogli i Vigili del Fuoco, i Vigili Urbani, la Polizia di Stato, e, soprattutto la Guardia di Finanza.

Un popolo silenzioso e la raccolta differenziata

ImmagineSi aggirano per il quartiere con carrello della spesa e un bastone, donne uomini e ragazzini con passo svelto si fermano a ogni bidone dell’indifferenziata e rovistano tra i rifiuti aiutandosi con il bastone e prelevano materiale recuperabile. Probabilmente cercano ferro, rame e latte.  Sono tanti e li incontri a ogni ora del giorno, forse è il popolo dei campi ai margini della città e della società che si dice civile. Si dice civile. Sarebbe civile. Perché civile non lo è tutta la società. Parte di quella società chiede senza dare, a se stessi e agli altri.

Da un po’ di tempo a questa parte i contenitori di spazzatura strabordano, puoi trovarci di tutto. Quel popolo veloce, silenzioso e molto efficiente limita il disastro e attenua lo sgradevole impatto della nostra inciviltà. Ormai la soglia di civismo è stata raggiunta e serve altro per “convincere” i nostri vicini di casa  a diventare bravi cittadini.  I cittadini residenti e i cittadini commercianti.

Serve il porta a porta, presto. Servono compostiere di condominio. Servono bidoni per la raccolta  differenziata per ogni esercizio commerciale. I condomìni potrebbero raccogliere e vendere carta e vetro (molto richiesti) e il ricavato decidere se investirlo in pannelli fotovoltaici, per esempio, o darlo a chi ne ha bisogno. Servono idee e persone che le sappiano concretare. Così non si può continuare. Quel popolo veloce, silenzioso e efficiente non sarà, spero per loro, qui in eterno.

Un dehor decisamente compatibile

L’arredo urbano, come il vaso di fiori o il soprammobile di casa, deve rappresentare il territorio in cui è inserito.  Deve essere parte di un progetto, deve accompagnare il cittadino e l’ospite che attraversa le vie del quartiere nel suo percorso.

E’ un pugno allo stomaco un dehor lungo come la portaerei Garibaldi, senza decoro estetico con le sedie ammonticchiate in un angolo in attesa di sederi notturni.  I dehor devono essere arredo urbano e come tali progettati e installati.  Devono avere dimensioni compatibili con le dimensioni delle vie, devono integrarsi esteticamente con l’edificio che li ospita, devono essere gradevoli alla vista e arredare il luogo in cui sono installati. Come il soprammobile di casa, escluso quello della vecchia zia che si tira fuori quando viene a trovarci.

Questa mattina ho visto un esempio di dehor che a tutti gli effetti è arredo urbano, l’ho visto e fotografato in via Silvio Pellico mentre volantinavo per informare su un’iniziativa del PD a sostegno dell’ospedale Valdese (domenica 25 in piazza Madama alle 10:30).San Salvario è un quartiere con molti amanti delle due ruote, qui potete trovare diverse officine di riparazione biciclette ed ecco la genialità: il dehor costruito con vecchie biciclette. La bici da corsa, la graziella, la bici da donna e la bici da bambino tra vasi di fiori circondano gli ospiti del locale. Si chiama Tea Pot il locale, andate ad ammirare. Io lo trovo bellissimo.

Un’idea sostenibile

E’ nata San Salvario Sostenibile: segnalare un’attività commerciale nel quartiere che adotta la pratiche legate alla sostenibilità. Sostenibilità intesa come azioni che vogliono migliorare la vita nel territorio: utilizzo di materiali biodegradabili, raccolta differenziata, wifi gratuito, creazione posti di lavoro per residenti e altro che potete trovare nel sito.

Ci si può associare, ricevendo una tessera che da diritto a sconti, ma soprattutto si possono, e si devono, segnalare quei locali che adottano pratiche sostenibile.

Un’iniziativa che tende a evidenziare e promuovere, un’iniziativa a costo zero per le istituzioni. Spero vivamente che San Salvario Sostenibile venga “copiata”  anche in altri quartieri della città. Bravi, complimenti davvero, anche per il logo, è il momento di coglierlo il vento.

Clicca qui per andare sul sito.

Nino

Questa mattina ho costatato che i miei capelli stavano peggio della maggioranza di Berlusconi e prima che decidessero di passare all’UDC sulle orme della Carlucci ho deciso che una sistemata fosse proprio necessaria. Avevo però il problema del parrucchiere, il mio solito ha lasciato l’attività, il più vicino è in via Calvo e non mi sembrava il caso. Ho telefonato a Raffaele chiedendo consiglio e lui, che tutto sa sul quartiere, mi ha consigliato Nino.
Fidandomi, perché di Raffaele bisogna fidarsi, ci sono andato. E ho fatto bene riuscita del taglio a prescindere.
Nino è un parrucchiere, o barbiere come piace dire a me, vecchio stile, come al Sud. Gentilezza e racconto.
Abbiamo cominciato con le origini calabresi di Nino che mi ha raccontato della pesca al pesce spada che si fa a Palmi, sua città natale. Proprio a Palmi, racconta, avvenne la storia del pesce spada innamorato che ispirò la canzone di Modugno. E come un gioco a seguire, tra un colpo di forbice e l’altro, mi ha raccontato gli inizi torinesi, anzi sansalvariesi, di Domenico Modugno, barista al caffè dell’Università di corso Marconi angolo via Madama. Molti dei suoi successi Modugno li compose dopo il lavoro nel retro di una sartoria di San Salvario dove dormiva ospite di un amico di suo padre. Mi ha raccontato della sorpresa di vederlo vincitore a Sanremo e dei tre giorni di festa che aveva offerto agli amici torinesi dopo il successo internazionale. “Ma”, mi dice Nino, “io non sono un esperto di musica leggera: io sono un melomane”. E parte una conferenza vera e propria sulla lirica: Tebaldi, Callas, Domingo, Pavarotti … mi ha aperto il cassetto con i suoi cd rari … mi ha raccontato del dramma di Anita Cerquetti, cantante dal grande avvenire che aveva abusato della sua voce tanto da rimanere senza e finire in clinica abbandonando un futuro da nuova Callas. Una bella mattinata, mi sono rilassato, ho appreso storie che non conoscevo e ho conosciuto una piacevole persona. Io da Nino ci torno, grazie del suggerimento Raffaele.

Tutto questo per dire che territorio è dove abiti, dove fai la spesa, dove i figli vanno a scuola e dove ti dai anche una sistemata ai capelli.

Dimenticavo, anche il taglio niente male.

Un accordo musicale in San Salvario

Nasce così il San Salvario Music Festival, una sinergia positiva tra locali, associazioni e teatro. Locali che sponsorizzano e mettono in vendita i biglietti, il CineTeatro Baretti e la Casa del Quartiere che ospitano i musicisti e l’associazione Nessuno e la biblioteca Sherazade che rappresentano una delle belle realtà associative del nostro territorio. Otto serate musicali, otto generi musicali. Da non perdere. Questo è il quartiere che piace a me.

In questi casi è d’obbligo dire partecipate numerosi.

Qui trovate il programma e maggiori informazioni.

L’insalata tra gli aceri

Chi l’ha detto che le aree verdi e i parchi devono essere dedicate solo a piante ornamentali? Alberi, prati e aiuole e perché non orti? Appezzamenti di verde, potrebbero essere coltivati a orto e piantati alberi da frutto. Gli appezzamenti potrebbero essere affidati ai centri d’incontro attivi nei quartieri o seguiti dai Senior Civici del comune di Torino. L’impegno dovrebbe essere regolato da aspetti estetici, da un utilizzo solidale del raccolto e dalla formazione “agricola” rivolta alle scuole limitrofe e ai cittadini che volesse imparare.

Sono convinto che tra i frequentatori dei centri d’incontro e tra potenziali Senior Civici qualche ex contadino ci sia di sicuro. Facciamo in modo che possa condividere il suo pollice verde. Condividi le tue competenze con naturalezza, diceva uno slogan che mi è caro.

Così, diffondendo cultura e coltura, s’inizia a costruire un quartiere davvero ecosostenibile.